Moltissimi sono stati i critici che nel corso degli anni hanno voluta lasciare una testimonianza o un semplice parere sul telento artistico di Fernanda Palavrini.
Prof. VITTORIO SGABRI
“… dobbiamo ringraziare tutti gli artisti, oggi purtroppo pochi, come la pittrice Palvarini, che portano avanti l’800 con la sensibilità e il romanticismo dei grandi impressionisti francesi.Questi sono quadri che arredano, quadri che trasmettono emozioni e serenità, che ti accompagnano nella quotidianità della vita… La tecnica dell’anticato, studiata dalla pittrice stessa, dopo un lungo lavoro di prove, è perfetta nei minimi particolari, molto studiata ed elaborata. Si evidenzia una grande passione per la pittura con tutta la creatività che la circonda…”
MARIO CATTAFESTA, «La Gazzetta di Mantova»
Esistono in pittura dei veri e propri «generi», come in letteratura, anche se i critici di scuola crociana li negano. Eppure non si vorrà dire che i nudi, i ritratti, i paesaggi, le marine, le architetture, le cosiddette «nature morte» siano la stessa cosa dei «fiori». Oggi poi i vari modi espressivi-irrazionali, informali, surreali, iper-reali, simbolistici, d’«action painting», e chi più ne ha più ne metta – complicano ancor più il vocabolario pittorico, per cui un chiarimento, a livello didascalico, è indispensabile spesso, utile sempre, in una recensione che risponda alla sua prima ragione di essere, che è quella di chiarire. Ecco una pittrice di fiori, Fernanda Palvarini. Una pittrice che si immerge in una dolce condizione sentimentale che cede senza riserve al fascino di questo soggetto volta a volta sontuoso e delicato, suggestivo e romantico, raffinato e semplice. Ma come, qualcuno può chiedersi, farsi attrarre dai fiori non è un anacronismo, nel contesto delle idee culturali del nostro tempo? Guardare per provare che non lo è. Ci si aggira tra i «Turbanti di turco», tra gli «Arrestabue», tra gli azzurri «Arceolini», tra le soffici «Driadi», tra i bianchi «Piumini), tra le farinose «Primule», tra le rosee «Serpentine», tra le rupestri «Selaginelle», tra gli aspri «Astragali», gli spinosi «Cirsi», tra gli «Aconiti» tanto cari a D’Annunzio, ci si aggira tra le «Forsizie», e i «Crocchi», gli «lris» e le «Stelle Alpine», le «Barbe di capra» e i «Girasoli», tra queste opere di così diversi toni, sfumature e colori, e alla lunga, più che fa bravura tecnica dell’artista (che sa dare sottili vibrazioni cromatiche anche con mezzi tecnici assai ardui per le mezze tinte, gli acrilici) lascia un segno proprio il senso del suo messaggio: che è quello di trovare un clima tra l’onirico e lo smagato, non appesantito da pretese scientifiche; e che è anche quello di trovare le radici della poesia non tanto nei geroglifici intellettuali quanto nella natura che ancora resiste alle devastazioni e al cemento. E poi Fernanda Palvarini sottolinea le accensioni cromatiche più vive seguendo un suo estro lirico. I titoli che dà a composizioni come queste («Rapsodia in rosa», «Vortice azzurro», «Palpiti dorati», «Soffio di primavera» sembrano voler richiamare l’attenzione su una condizione dello spirito o su impressioni globali – anche musicali – più che soggetti in sè, pur così bene analizzati. Questa non è più una pittura «di genere», è un vero e proprio rapimento estatico, che la sicurezza d’esecuzione tecnica ingentilisce ed esalta al tempo stesso. Sulla strada di queste ricerche, di queste focalizzazioni, di queste sublimazioni, l’arte di Fernanda Palvarini, già fiorente, potrà trovare nuovi interessanti sviluppi.
Maestro GUGLIELMO COLOMBI
In Fernanda Palvarini il tessuto pittorico intende portare la realtà alle frontiere del sogno, per dare trascendenza alla lettura immanente; l’impaginazione utilizza i colori per idealizzarsi in fantasticherie infantili, ma nel con tempo mature, come per iniziare il viaggio al termine della notte. L’immagine zampilla in fermenti vivacissimi, per ruscellare verso l’elevazione: dal buio basilare, che tuttavia rifiuta l’azzeramento della luce, è un’ascesa esplosiva e nel contempo romantica, che si vivacizza episodicamente nella conquista, si esalta in una policromia limpida e prorompente, si attenua nella contemplazione della saggezza e si veste infine del colori fiabeschi della conquista. L’interpretazione dei fiori viene proiettata da una sensibilità pittorica tipicamente femminile, vergine nella ricorrenza emotiva, matura nella scapigliatura, innamorata nei toni, insofferente nell’ortodossia: fresca, efficace, energica e responsabile.
Professor ENNIO SCOZZI, Roma, 6 dicembre 1980
Madre dei fiori, figlia dei fiori. Non c’è niente di più fragile e nello stesso tempo di più robusto di un fiore: la grandezza della natura sta nella sua forza e nella sua precarietà, all’artista il compito di carpire il senso ed il valore di questo instabile equilibrio. Tale il fiore, tale l’anima di Fernanda Palvarini tesa alla continua ricerca di uno spazio sempre più ampio, insofferente dell’angusto e del limite e pur costretta dalla materia a definire e a delimitare. Riesci a cogliere tuttavia un lieve sussurro che par che dica: sempre più in là. Fiori aerei, senza radici, che volano in ogni direzione, ora si piegano ora si tendono ma poi decisamente vibrano verso l’alto in uno sfondo di cielo vaporoso e denso di speranza che ti rapisce il cuore e lo sguardo. È la vita che fa omaggio a se stessa nella sua scansione ritmica di luci e di colori, di suoni e di immagini, di toni e di semitoni, che invitano a pensare e a sognare, che innalzano un inno alla gioia e al dramma dell’esistenza. Su questa soavità aerea leggi la contraddizione e la risoluzione, il desiderio e il dolore, l’idillio e l’elegia, il tempo che scorre e lo spazio che trattiene per l’eternità l’attimo fuggente: è come guardare all’oceano e fermarvi un’onda. Non sta qui la drammatica bellezza del tempo, del proprio tempo? Parlare dei fiori con i fiori! Ognuno ha il suo linguaggio che sceglie, che affina giorno dopo giorno in una relazione che è pubblica e privata, per ritrovarsi con se stesso e con gli altri, per dare e ricevere un po’ di calore umano. Il fiore di Fernanda Palvarini è un’offerta di amore, di pace, di generosità, di amicizia, rivolti all’infinito: non basta una tela a contenere questa offerta, l’immagine è più vasta è poesia. Madre dei fiori, figlia dei fiori. La sua potenza espressiva oscilla tra la forza tenace, a volte aggressiva, del rosso e la tenue morbidezza, a volte malinconica, del viola rivelando ricchezza e profonda sensibilità di donna e di artista. <<Vorrei cogliere un fiore dove il tempo s’è fermato per sempre>> dice in alcuni suoi versi e subito dopo «non coglierò quel fiore / voglio sentirlo respirare dalla soffice terra>> Anche noi non coglieremo quel fiore, basta sentirne il respiro.
LUCIANO SPIAZZI, ottobre 1978
Lo sguardo si placa nel verde e nel grande spazio che sovrasta la casa; viene voglia di lavorare con l’umiltà artigianale del tempo andato. Dipingere fiori, sempre diversi, fragili come l’ora che scorre sulla lancetta dell’orologio, richiede un lungo, tenace amore alle cose. È come catturare la bellezza che scompare, quella che dura ”l’espace d’un matin” come cantava Ronsard, la bellezza semplice, senza maiuscole. Anche se dentro ci stanno rigogliosità, pienezza, inusitati splendori, raffinatezza. Bellezza drammatica tuttavia: basta l’avanzare inesorabile dei minuti ad avvizzire la forma più splendente. Lillà, rose, fiori di lampone, girasoli, ranuncoli di ogni specie, magnolie, fiordalisi, papaveri, margherite, campanule, anemoni, mughetti …, serie infinita di nomi. Pare d’entrare in un vocabolario di gentilezze brevi. E in questo lessico che Fernanda Palvarini ritrova intero il senso del suo lavoro. Naturalistica nell’espressione d’un realismo persino accanito, continuamente variegato, l’artista trasforma il fiore in protagonista assoluto dell’opera. Sale dal primo piano ad invadere interamente lo spazio. Vive insomma tra cielo e nubi, acquisendo la dignità dell’esistenza. Dall’uno all’altro si determinano i piani, le distanze, lo spessore del vivere, il suo peso, le eleganze, i ripiegamenti, i contrasti drammatici. La tecnica è ormai scaltrita e s’approfondisce sempre più. Così questa pittrice trova modo di aggiungere esperienze ogni volta diverse all’invenzione non mai conclusa delle sue forme. Perchè di queste sempre si tratta. Nei fantasmi rinnovati dei fiori Fernanda Palvarini racconta se stessa, speranze, delusioni, appagamenti e il resto del quotidiano procedere.